Dopo la lettera aperta indirizzata al Blasco nazionale pubblicata qualche settiman fa (la potete rileggere qui), pubblichiamo ora lo sfogo di un amico di (this), finito nella trappola di un pomeriggio televisivo. Ecco le sue impressioni a caldo.
“Essendo la vita del disoccupato alquanto ripetitiva e pallosa, la giornata passa cliccando sulle freccette verdi di “aggiorna” della pagina di Subito.it (sito di annunci di lavoro), e di Repubblica.
In passato la cosa poteva anche dare certe soddisfazioni (vedi l’aumento giornaliero dei morti americani in Iraq), ma il tutto è ora sostituito dai giapponesi terremotati, o dalle mignotte in gita a casa del nostro premier. Se il primo argomento mi dà un po’ da pensare (che bello sarebbe stato avere una centrale nucleare vicino all’Aquila), il secondo ormai mi ha eroso i coglioni.
Avendo avuto il fegato di accendere la televisione, ho quindi scoperto che una puntata di Kalispera di Alfonso Signorini era bell’e pronta per essere gustata. Allora mi siedo sul tappeto di Lebowskiana memoria (sfortunatamente senza White Russian e fortunatamente senza residui urinici), e mi preparo per un viaggio alla scoperta delle interiora flaccide e basse del medio popolo italico.
Una scenografia alla Will e Grace mi fa già supporre che il coming out del presentatore ormai sia una pura formalità, e il suo sorriso ebete mi fa sentire già più intelligente. Tra stacchetti musicali, letture di rotocalchi su schermo gigante e massimo boldi che cucina salsicce insieme alla dalla chiesa (esumata dal cimitero di forum, dove si dice sia seppellita pure la moglie di Boldi), i primi 15 minuti passano in slow motion.
Ad un certo punto, la scena Cult.
A differenza di “The Texas Chainsaw Massacre” di Tobe Hooper, invece di trovare un uomo con maschera in pelle umana che insegue per la foresta una scosciatissima ragazzina terrorizzata, si materializzano sul divano di Signorini in sequenza Mimun, Brachino ed Emilio Fede. Tutti e tre in pulloverino cashemirato, tutti e tre con lo sguardo fiero e un po’ sborone del “direttore di telegiornale”, tutti e tre sbavanti davanti alla Santarelli (questo glielo potrei anche perdonare, se poi lei non si mettesse a fare ciò per cui non è portata: parlare).
Quando poi il clima della trasmissione televisiva leggera si trasforma in quello di osteria leghista con grappa e rutto libero, il nostro Alfonso ci tiene a sottolineare che quella è l’Italia che ama, ovvero l’Italia di pancia. Per sottolinearlo, scatta lo stacchetto a due della sopracitata Santarelli, insieme ad un’altra desnuda di ignote origini ma di consolidate capacità lapdansistiche. Nessuno ormai si chiede più se sia stata anche lei nel villone del presidente, perché le due cominciano ad amoreggiare platealmente, sfiorandosi con lingue e culi, mentre il cameraman ha la brillante idea di fare un primo piano al volto emaciato di Emilio Fede, ormai vittima di cervicale a causa del peso della saliva sulla lingua.
La successiva intervista del conduttore alle due starlettes sarà un’ode alla porcaggine voyeuristica che più amiamo noi italiani (ormai sono stato rapito e non posso esimermi dal considerare Kalispera un pezzo di storia della televisione), con domande che andranno dal “ma tu sei dominatrice o schiava”, alle più morigerate affermazioni “certo che il tuo ragazzo, Corradi, è uno stragnocco di prima categoria.. ce lo avessi tra le mani io”. Visto che l’immagine appena sognata dall’Alfonso ha provocato un suicidio di massa di tutti gli spermatozoi presenti nel mio sacco scrotale, decido di allontanarmi di qualche metro dallo schermo, per capire se quello che sto vedendo non sia solo frutto di un’allucinazione dovuta al detersivo per pavimenti che mi sto bevendo.
Mentre la mia mano, scollegata da me, cerca di trovare il pulsante rosso della televisione per evitarmi di finire in Videodrome, sbuca dall’angolo Corona con mamma al seguito, e la stanza intorno a me comincia a danzare.
Colto da convulsioni, decido che è il caso di raccogliere la bava di cui è cosparso il tappeto, e rimettermi al computer.
Quanti è che sono ora i morti in Giappone?”
di Jacopo Mattia Martini