Perchè mangiare peyote non ti rende il perfetto grillino

L’ultima volta che ho preso il peyote mi sono perso senza acqua nel deserto di Real de Catorce, nello stato messicano di San Luis Potosì. Una bella scocciatura in effetti, considerato che eravamo anche senza telefoni e le lancette segnavano mezzogiorno.

Deserto messicanoIn quella situazione di merda ci eravamo finiti perchè come al solito i nostri entusiasmi estemporanei erano frenati solo dalla nostra cupidigia di rare sostanze psicodislettiche. Una frase ad effetto di cui vado piuttosto fiero ma che oltre a non avere senso si può tradurre con un semplice “non ce ne fregava un cazzo del buon senso e ci buttavamo a pesce nelle cose col cervello perennemente in modalità stand by”. Non mi giudicate: ho avuto una infanzia piuttosto felice, non ho subito molestie degne di nota e negli anni passati ho anche fatto lavori socialmente rilevanti. Il profilo crepetiano di malvagio criminale non mi veste bene, anche se amerei un giorno vedere il plastico di casa mia in una qualche trasmissione d’inchiesta in seconda serata. Semplicemente, chiunque abbia avuto vent’anni sa che prendere parte a qualcosa di più grande (e perchè no, proibito) attizza gli animi come poche altre cose, specie se fornisce spunti per racconti isterici da infilare in blog qualunquisti.

A tal proposito, stavo dicendo di noi persi nel deserto. Eravamo finiti lì per dare retta ad un brasiliano conosciuto in una posada a sud di un villaggio di pescatori sul Pacifico, uno psicopatico senza alcuna remora morale il cui fabbisogno quotidiano di oppiacei e vino scadente avrebbe fatto sentire un pivello anche il miglior Gennarino Penna d’Oro (personaggio blasfemo noto ai bolognesi, per chi legge da fuori città si utilizzi come riferimento culturale Michele Cucuzza).

“Pare che in quel deserto si trovino i peyote che utilizzavano i popoli precolombiani per [inserire un’azione inverosimile a scelta]”, ci disse una sera. Era fatta. Partimmo da Real de Catorce, città fantasma in cima ad una montagna rocciosa, a bordo di una jeep sapientemente privata di ammortizzatori, freni, finestrini e cinture di sicurezza, e dopo qualche ora di viaggio eravamo in mezzo al deserto. Il conducente ci chiese il doppio dei pesos per riportarci in città, e solo quando lo avevamo già mandato affanculo ci rendemmo conto che ovunque guardassimo non c’era ombra di civiltà, tantomeno di un mezzo che ci riportasse in cima alla montagna. Grazie al cielo la raccolta di peyote fu abbondante e reiterata, un’oasi che ancora oggi non ricordiamo se fosse vera o frutto di allucinazioni ci rinfrescò e rigenerò, e prima che i coyote potessero banchettare con i nostri corpi intossicati eravamo tornati in paese. Pare infatti che tra le mille azioni inverosimili che i peyote ti permettono di fare, ci fosse quella di camminare sotto il sole rovente per giorni e giorni nella totale gioia interiore.

Il deserto tira fuori il peggio dalle persone

Il deserto tira fuori il peggio dalle persone

Questa storia mi è tornata in mente ieri quando ho letto della messa all’indice di Quit The Doner come “personaggio non gradito al M5S” da parte di Beppe Grillo. Per chi non conoscesse Quit, questo è lui e questa è la storia cui faccio riferimento, raccontata da Linkiesta.

Il popolo dei grillini si è unito al loro leader carismatico in una fucilazione mediatica tipica degli attivisti da tastiera. Senza probabilmente leggere l’articolo incriminato e senza attivarsi per prendere una posizione scevra dalle politiche imposte dal big boss, uno tsunami di punti esclamativi, 1 e caps lock si è riversato nelle maglie della rete per colpire il giornalista.

Ecco, i grillini in questa occasione mi sono sembrati il nostro gruppi di giovani bohémienne in gita ricreativa. Senza pensarci troppo hanno fatto quadrato e sostenuto una battaglia che non gli appartiene, solo per sentire quel testosteronico senso di fratellanza che rende coeso anche il gruppo più eterogeneo. Si affrontano battaglie a colpi di tastiera wireless per provare una volta tanto l’emozione di stare con chi vince (sic), senza considerare tutte le ragioni della bandiera sotto la quale si sta digitando. Pedine di una battaglia pensata da altri ma combattuta da ottenebrati peoni dall’insulto facile e gratuito.

grandeegrossoPoi è chiaro, noi ci siamo divertiti ad attraversare un deserto e a scalare una montagna completamente nudi e strafatti per seguire i racconti magici di un tossico di Rio de Janeiro, ma la cosa ha avuto conseguenze. Gravi. Ancora oggi, per esempio, tutte le volte che dico una parola svuotata contenente tre erre l’occhio sinistro mi si chiude di scatto.

Ramarro.

Arrotare.

Rappresentare.

blink

Cose che puoi imparare non bevendo per una settimana

Recentemente sono stato costretto a prendere antibiotici per una settimana. Non sono sicuro fossero antibiotici perchè le case farmaceutiche usano per i foglietti illustrativi uno slang peggiore di quello di un rapper abruzzese, ma la farmacista sembrava sicura del fatto suo. E con “sicura del fatto suo” intendo che ha letto la ricetta mi ha squadrato per essere sicuro non fossi un tossico in cerca di sballo semilegale e mi ha preso una confezione da un cassetto senza scritte. Il tutto in 30 secondi. Roba che se addestrassero carabinieri e impiegati postali alla facoltà di Farmacia il raggio d’azione delle barzellette qualunquiste diminuirebbe come la mia capacità di fare analogie divertenti.

Il problema è che non sono abituato a prendere farmaci. La mia famiglia fa parte di quella categoria per cui prima di assumere un farmaco devono verificarsi effettivi sintomi di cancrena, e ancora oggi vivo il prendere un’aspirina come una Caporetto del sistema immunitario.

Ad ogni modo. Il medico ha detto che avevo un’infezione e mi ha chiesto come potevo essermela presa. Io gli ho spiegato che qualche settimana prima ero andato a letto con la fidanzata del mio migliore amico senza usare precauzioni. Non giudicatemi male, in realtà non è proprio la sua fidanzata, anche se lui la tratta come tale. Direi più migliore amica. Anche se lei non ha mai apertamente corrisposto questo sentimento. Non saprei definire il loro rapporto. Direi piuttosto che lei è il suo cane. Tecnicamente, in effetti, è un labrador. 30kg di morbidezza e scodinzolio che mi han mandato in black out dopo una serata portata avanti a lexotan e rum di market pakistano.

Quella serata mi è costata una settimana di pillole e ferrea dieta priva di cibi come formaggi e non so che altro ma soprattutto di alcoolici. Pare infatti che per funzionare queste medicine debbano campeggiare in un corpo sobrio e casto, quasi a punirti per le stronzate che hai fatto mentre eri sconvolto. Forse non servono neanche a un cazzo, se non a tenerti lontano dall’alcool e dai cani altrui dandoti una settimana per riprendere anticorpi e dignità.

drunk-bearFatto sta che per una settimana ho vissuto lavoro famiglia amici e città con gli occhi di chi non ha bevuto neanche la Ceres di metà mattina. Ho capito che forse quel che facciamo diciamo e vediamo da sbronzi non è bello e divertente come sembra, soprattutto le seguenti cose che chiunque possa fregiarsi di essere un buon lettore di (this) ha provato almeno una volta.

  • Infilarsi un tampax intriso di vodka nel culo non ti rende il re della festa ma quello a cui disegneranno i baffi col pennarello non appena svenuto a terra
  • I cori da stadio non sono divertenti fuori dallo stadio
  • Esprimere affetto con carezze, baci e un “sei speciale” infastidisce i vostri amici. Figuratevi i poliziotti del posto di blocco
  • Nessuno a parte Beyonce sa fare le coreografie di Beyonce
  • “Troia” non è un dresscode
  • I cuccioli di panda non si toccano
  • Non sei nel video di Smack My Bitch Up
  • Non sei neanche nel video di Bittersweet Symphony
  • Tantomeno sei nel video di Hey Boy Hey Girl
  • Non sai ballare fattene una ragione
  • Il tuo certificatissimo eye-crossing da discoteca visto dall’esterno è il tentativo di uno strabico di seguire il volo di un calabrone fatto di speed
  • Perchè, mi chiedo, perchè aumentare tono di voce e cadenza regionale in maniera inversamente proporzionale alle dimensioni della stanza?
  • Disegnare baffi col pennarello a chi si infila un tampax intriso di vodka nel culo è giusto e forse anche didattico
  • Le foto della serata saranno meno divertenti ma per una volta ne uscirete da gran signori
  • La gente che incontri in fila al cesso non è tua amica, smettila di molestarla
  • Se ubriaca, la gente che incontri in fila al cesso è tua amica, molestala
  • Tutto quello che organizzerai dopo il terzo Martini non si avvererà. Mai
  • Non riuscirai nemmeno a infilare il preservativo, figurati a farle le cose che le hai sussurrato (leggi: sbiascicato urlando) all’orecchio mentre tornavate a casa
  • “Guarda come balla: ti svelerà come è a letto” è una stronzata colossale. A meno che voi non soffriate di attacchi epilettici precoitali
  • Cantare pezzi anni ’80 a squarciagola non aumenterà il vostro ranking di scopabilità. Lo porterà a livello Giletti
  • Evitate il karaoke, fidatevi di me
  • Non siete degli esperti in materia
  • Non siete neanche esperti di karate, ve lo giuro
  • Non confidate al vostro amore segreto il vostro amore per lei
  • “Dove ti ho già vista” non è la frase migliore per dare il buongiorno alla ragazza che vi siete portati in casa la sera prima

In generale, dovremmo essere abbastanza bravi da evitare di dire/fare/baciare cose che il giorno dopo potrebbero provocarci imbarazzo e tremendi messaggi di scuse.

O almeno siate così scaltri da non lasciare tracce.

Ho usato WeChat per una settimana ma continuo a non capire il sexting

Da quando sono bambino ho il timore che qualche sconosciuto possa regalarmi delle caramelle drogate. Crescendo, a dire il vero, ho iniziato a sperarci, ma ho visto troppi film horror e Tg1 per non temere di svegliarmi nel letto di uno psicopatico nudo e armato di machete che cerca di convertirmi al Movimento 5 stelle. Non che non sia successo, sia chiaro, ma non credo vi interessi come investo con Favia la paghetta il mercoledì sera.

Ad ogni modo, ogni volta che un estraneo mi propina qualcosa (un drink, un cinque alto, un’opinione) non riesco a non essere imbarazzato. Succede anche con i consigli dei commessi. Figuriamoci con le foto di tette e culi.

Uno sconosciuto

Uno sconosciuto

Faccio però un passo indietro.

Una settima fa, dopo un massacro mediatico da campagna elettorale pre-par condicio scarico l’app di WeChat. Subisco sempre le pubblicità martellanti, specie se sopra la scrivania ho almeno tre foto della testimonial nuda lo spot è girato molto bene. Negli anni ’90 non scelsi a caso Omnitel come compagnia telefonica (Ciao Megan, come stai? Ti ricordi di me?). Dalla scorsa estate prima Messi e poi Belen Rodriguez hanno invaso il mio spazio televisivo protetto (contestualizzato tra la puntata di Futurama e quella dei Simpson) con i loro spot martellanti. Belen, per chi se la fosse dimenticata, è questa qui. Complice un momentaneo crash di Whatsapp vado fiducioso nello store e scarico l’app. Fin qui tutto bene. Apro, inserisco i miei dati, mi registro, e gli concedo pure di controllare la mia rubrica. Metti che quelli con cui stavo organizzando il calcetto sull’altra app fossero anche lì..

Lo scenario era invece sconsolante. Una notte buia e tempestosa 2.0. Una specie di Google+ versione instant messaging. “4 dei tuoi 327 contatti in rubrica hanno già WeChat. Comincia a chattare!”. Nessuno di loro, per la cronaca, aveva completato l’iscrizione. Demoralizzato, capisco che quella settimana non avrei potuto far parte del match al Dopolavoro. Di certo una delle peggiori perdite per il mondo del calcio dai tempi del prematuro addio di Van Basten.

Appoggio il telefono e continuo a menomare zombie alla Xbox. Dopo pochi minuti vibra tutto.

“Ciao! Kurioso il tuo niknameeeee!! kome ti khiami??” (N.d.A. sono serio, k e h insieme)

Una tipa che aveva messo la foto di sua madre in reggiseno mi stava scrivendo. Le rispondo perplesso. Non mi pareva di conoscere il nome.

“Ciao.. Lo strano niK è il mio nome. Tu chi sei?? Ci conosciamo?”

“AAHAHAHAHAHAAHAH ma daiiiiiiiiiiiiiiiii!!! Nn dirmi ke sei nuovo! Io sono  ***** piacere. D dv 6?”

“Ciao *****. Bologna e sì, temo di essere un novellino. Ma il numero 66 nel tuo nick cosa rappresenta? Il tuo sostegno alle Pantere Nere? Un accenno di satanismo borghese? Curiosa anche la tua foto, tua madre deve esser stata una gran bella donna”.

Una volta letti i 75 messaggi di insulti successivi capisco che ***** ha 47 anni e le garba farsi selfie al cesso in reggiseno. A occhio e croce non disdegna neanche il salame di cioccolata e le ciambelle.

Imparo così che WeChat, prima app di messaggistica in Cina e prima per aumento download anche in Europa è un ibrido tra Whatsapp, Badoo e Chat Roulette. Qualcosa di simile a Tinder e Grindr, ma molto più pettinata. In sostanza esiste un’opzione, “Persone Vicine”, che localizza la tua posizione e ti mostra tutti i single ingrifati gli utenti nei paraggi. Selezioni il sesso di chi vorresti conoscere (al netto di maschi gay e transgender che si registrano come donne, quei burloni), vedi chi è più vicino, gli fai le quattro domande standard (nome, provenienza, impiego, situazione sentimentale) e poi se pronto a, tipo, boh. Citofonare nella notte a casa sua presentandosi come Alex83? Mandare foto compromettenti con cui spassarsela il giorno dopo nei cessi dell’ufficio? Intrecciare rapporti epistolari infiniti sul cinema di Fassbinder con gente che non hai visto e non vedrai mai?

Evidentemente sì. Tutte e tre le cose. Insieme. L’invio di selfie al cesso è lo standard per tenere sul pezzo l’interlocutore. Una tetta se non rispondi per 30 minuti. Due per un’ora. Culi con mutandazze bianche se ti sei azzardato ad andare a lavorare e non le hai risposto per un giorno intero, che così “vedi che ti sei perso”. “Pivello”. Sexting si chiama. Mandare cioè messaggi sconci con foto hot a gente (s)conosciuta per noia e diletto. Ma sono sicuro che non vi sto dicendo nulla di nuovo, brutti maiali.

Ho usato WeChat per una settimana ma continuo a non capire il sextingPoco dopo mi scrive #####96

“Ciaooooooooo!! Che bella la tua foto di che zona sei??! Anche tu fai il classico al Minghetti?”

Ecco per l’agente della polizia postale che sta leggendo tutto ciò, io a lei non ho risposto. Sia chiaro. Anche se nella foto dimostrava ben più anni, agente. Anche se pure lei, al mio posto.. Va bene ma sua figlia non lo farebbe mai.. Di che anno ha detto che è la sua figliuola? Molto bene. Va al Minghetti immagino..

Per farla breve, nel giro di una settimana vengo importunato da:

– Madre 50enne che cercava nuovi posti (??) dove trovare un nuovo padre (?????) per suo figlio calciatore (allegati: foto di talentuoso figlio, video di gol di talentuoso figlio, cassetto biancheria)

– Studentessa 18enne di istituto tecnico (ma vicino casa mia non esiste nessun istituto tecnico!! che razza di geolocalizzazione è??) con la passione per la pubblicità (allegati: foto di tavole grafiche, foto di biancheria su tavole grafiche, foto di biancheria su ragazza 18enne)

– Operaia cassaintegrata 39enne che si demoralizza appena scopre che ho un lavoro e smette di scrivermi (allegato: rancore)

– Groupie 29enne interessata a cosa penso quando compongo (?) la mia musica (???) (allegato: video youtube di un suo live a San Polo Matese)

– Numero 4 studentesse fuorisede in paranoia per l’esame

– Numero 3 ragazzi che “scusa pensavo fossi una ragazza però ciao, già che ci sono, piacere”

– Numero 1 trans (che, per dovere di cronaca, ha subito ammesso le sue intenzioni. In maniera piuttosto sfacciata, ma le ha ammesse)

– Numero 2 commesse di negozi sotto casa in pausa pranzo (“Che taglia porti?”)

– Numero 4 indecise che han chiesto di contattarmi ma non mi hanno mai più scritto

In tutto questo trambusto, un 80% di “persone vicine” che scrivevano in cinese e che avevano facce tipicamente cinesi. Probabilmente, ho dedotto, cinesi.  Tutt’ora, controllando, la statistica dà ragione a loro. Sono molti di più. Ai miei amati complottari l’onere di far luce su questa anomalia.

Stanotte è una settimana che sono iscritto a WeChat. Domani la cancellerò. Non sono stato un degno interlocutore dato che nessuna Jemma91 mi ha citofonato e il cinema di Fassbinder lo reputo sopravvalutato. Non sono riuscito a contattare Belen e nemmeno Messi. Probabilmente faccio parte di una sacca generazionale che è condannata a non godere dei vantaggi della chat porno (troppo vecchio e snob per le chat di MTv a fine anni ’90, troppo giovane per Badoo oggi).

Per fortuna ho riavviato il telefono e Whatsapp si è rianimata. Ci siete ancora ragazzi? A che ora per il calcetto?

Come sempre ringrazio Mindtapes per i preziosi contributi fotografici

Mi sono ammazzato per finta per esser celebrato sui social network

Ho capito di essere diventato adulto quando passando per le strade universitarie invece di offrirmi del fumo hanno tirato fuori i documenti e me li hanno mostrati. Per non sembrare scortese li ho anche controllati. Ho finto di chiamare in centrale con il mio cellulare quando in realtà dall’altro capo c’era soltanto il silenzio del mio imbarazzo e la mia spiazzante mancanza di polso. “Tutto a posto ragazzi andate pure”.

Mi chiamo Claudio, sono dello scorpione e sono morto.

Mi sono ammazzato per finta per esser celebrato sui social networkIo di professione faccio l’attore. Niente di importante sia chiaro, ma diciamo che qualche ruolo di secondo piano sono riuscito a interpretarlo. Il culmine della mia carriera l’ho raggiunto a 7 anni, quando insieme ad altri coetanei ricoprii il ruolo del bambino entusiasta in una di quelle pubblicità televisive per giocattoli da edicola. Erano braccialetti al neon che promettevano di animare la festa, qualunque cosa si intenda per festa quando hai 7 anni. Il copione prevedeva che insieme ad una biondina vestita di azzurro irrompessi in un party triste dove gli altri bambini si annoiavano a morte. Alla vista dei nostri braccialetti fluo, tuttavia, lo stereo impazziva pompando musica caraibica e tutti tiravano fuori da qualche parte coriandoli e stelle filanti. Una figata pazzesca, giuro. Lo spot andò in onda per un anno intero nelle pause tra un cartone e l’altro. Roba raffinata eh, parliamo dei maggiori network nazionali.

Per anni sono stato “il bambino dello spot”. A scuola la gente mi guardava con invida e ammirazione, e le maestre strizzavano l’occhio complici al mio atteggiamento da piccola star canaglia. Non si sa mai. Magari un giorno avrei vinto un Oscar. E loro avrebbero potuto ragliare alle amiche: “Io a lui ho insegnato la capitale del Camerun”. Puttane arriviste senza spina dorsale.

Col tempo il successo è scemato. Ho raccattato un po’ di comparsate su fiction nazionali, prima come bambino prodigio poi come ragazzino intraprendente poi adolescente turbato e infine studentello universitario con problemi di cuore.

Nel frattempo i social network sono arrivati al loro apice e ogni tanto qualcuno mi postava il video dello spot di 20 anni prima. “Guarda cosa ho ritrovato Cla!!1!1!!! La riaccendiamo questa festa?’?’??”. Dove lo avessero pescato lo sa solo Dio. Una roba piuttosto seccante perchè a confronto lo spezzone di io che con cammino dietro Luca Zingaretti vestito da mormone meritava ben più attenzioni e like.

Negli ultimi tre anni non ho mai lavorato. Ho rubato una laurea triennale senza significato e scroccato vitto e alloggio alla mia famiglia. Le mie fidanzate non hanno mai sopportato il mio ego non si sentivano mai all’altezza e son sempre stato fondamentalmente solo. Non ne potevo più. Per questo ieri ho deciso di uccidermi. Perchè quando sei morto la gente si ricorda delle cose belle che hai fatto. E anche chi non si ricorda di te all’improvviso si ricorda. E se non ti conosce affatto si ricorda uguale.

Mi sono ammazzato per finta per esser celebrato sui social networkQuando qualcuno muore, che sia un cantante un attore un presentatore uno sportivo un amico-di-amico un militare un animale famoso un regista o tutte queste cose messe insieme, la gente gli rende tributo. Scrive pensieri carini su di loro. Posta le loro foto e i loro video più celebri. Esterna la sua commozione cerebrale. Si sente sinceramente triste. Non c’è niente come un bel video tributo ad un qualunque dittatore illuminato della Micronesia per rimediare un pompino da una studentessa di Scienze Politiche. O una citazione colta del bassista tossico di una pop band dell’Ohio per aumentare il proprio ranking all’interno del microcosmo rockettaro della propria città.

Perchè cosa c’è di meglio per esorcizzare la morte che una celebrazione collettiva che ci ricordi che noi sì, siamo ancora vivi, e lo saremo finchè manterremo la sua memoria. O viceversa adesso non ricordo.

L’altra notte ho inscenato la mia morte. Ho lanciato la mia vespa a tutta velocità giù dalla scogliera come avevo visto fare un vecchio film e ho aspettato che la gente ne parlasse. La prima a dare l’allarme è stata mia madre. Povera. Poi sono arrivati i giornalisti della cronaca locale. Infine il tam tam dei social network.

E’ stato solo allora che ho capito quanto in realtà la gente mi volesse bene. Come un novello Tom Sawyer 2.0 ho assistito alla mia celebrazione postuma su Facebook e Twitter, scoprendo che in realtà il mio cameo in quel film di Virzì dove interpretavo il garzone non era stato dimenticato (32 condivisioni, 97 like). La sparatoria tra boss mafiosi dove venivo coinvolto insieme alla mia scolaresca era rimasta altrettanto nella memoria (41 condivisioni, 71 like). La scena in cui alzo la mano per rispondere ad una domanda della maestra Delcati si è confermata pilastro della mia crescita come uomo e attore (101 condivisioni, 97 like).

Mi sono ammazzato per finta per esser celebrato sui social networkLa gente ha pianto la scomparsa del giovane astro nascente del cinema italiano. Produttori e registi che negli scorsi anni hanno rimbalzato con sdegno le mie candidature hanno avuto parole di miele per la mia memoria e il mio talento. Donne che nemmeno rispondevano ai miei saluti hanno espresso rammarico per non avermi conosciuto meglio. Nessuno ha postato il video dello spot di 20 anni fa. Come fosse una vergogna esporre in piazza il vessillo del mio fallimento, della mia mancata ascesa all’Olimpo. La morte ha azzerato il sentimento più sincero in favore di una ammucchiata selvaggia di empatia e affetto come nemmeno nelle ultime pagine del Profumo di Suskind. Ero visibilmente commosso.

Non sono più tornato indietro. La gente ancora oggi mi crede morto. Le case di produzione rimasterizzeranno i film dove sono comparso anche per pochi secondi. Il mio fan club nuovo di zecca ha promesso di estrapolare tutte le mie scene per produrre un documentario i cui proventi andranno a sostenere le famiglie delle vittime delle scogliere. La casa di produzione dei braccialetti fluo ha deciso di donarli a bambini del terzo mondo. Ha fatto più opere buone la mia morte della mia vita.

Sono passati tre giorni dalla mia morte. Nessuno parla più di me. Ma il ricordo delle mie gesta so essere vivo nel cuore dei miei fan. Ieri pomeriggio è morto un famoso chitarrista. Ora la mia timeline di Facebook è colma di messaggi celebrativi in suo onore. Ad una occhiata superficiale parrebbe che la gente si sia di nuovo dimenticata di me. Che queste condoglianze a tempo determinato siano vuote come il programma elettorale di un qualsiasi grillino. Ma so che non è così. L’affetto che si dimostra per la gente famosa crepata è per sempre. Vero?

..vero?

Il quadrato semiotico degli hippie AKA come sono sopravvissuto ad una serata con 3 generazioni di freak

La fine dell’estate è notoriamente una merda, a meno che non siate disoccupati in attesa di risposte alla vostra mail con tanto di CV o un organizzatore di sagre del porcino. Curiosamente, però, entrambe queste categorie convivono serene all’interno dell’evento più malinconico e geriatrico attualmente in programma nelle vostre città: la Festa dell’Unità. Li puoi incontrare qui mentre ti vendono i loro risotti o le sottoscrizioni ad un partito che non esiste. Li osservi mentre servono bevande costose per finanziare attività dal basso. Subisci il loro sguardo sgomento quando gli confidi che sì, la tua laurea ti è servita a trovare un lavoro.

Sono andato alla Festa dell’Unità di Bologna per vedere il concerto degli Inti-Illimani, band cilena portabandiera del comunismo militante degli anni ’70 e sostenitrice del flauto di pan ad ogni costo. Mia madre li vide in concerto alla Sapienza di Roma in quegli anni, quando alzare il pugno sinistro aveva un significato più complesso del provocare una curva di fascistelli dopo un gol e le maree di studenti sognatori cantavano in coro la hit dell’estate “El Pueblo unido jamas serà vencido” (scaricala qui in versione suoneria per il cellulare). Mi ha talmente stremato negli anni con i loro dischi che ho deciso di vederli dal vivo. Questo è ciò che ho vis(su)to.

Arrivo allo stand Estragon intorno alle novemezza, dopo aver acquistato sul posto un kebab che lo assaggiassero in Medio Oriente avrebbero finalmente loro le motivazioni per attaccarci via aerea. Il palco è stato sapientemente sistemato di fronte al ristorante argentino (nazione notoriamente amica dei cileni) e di fianco allo stand dei Giovani Democratici. Gli stessi Giovani Democratici, evidentemente consci dell’ossimoro rappresentato dal loro nome, hanno optato per una curiosa scelta cromatica dei loro striscioni, che mette in secondo piano la preposizione articolata “ai”. Le interpretazioni dei presenti di tale grafica visionaria sono molteplici.

stand-giovani-democratici-bolognaSecondo alcuni si tratta di una premonizione stile La Zona Morta o Final Destination su una futura piazza cittadina, da dedicare post mortem al movimento. Per altri è una affermazione non virgolettata di chiunque si trovi un loro corteo in mezzo alle palle il sabato pomeriggio. A me piace pensare sia il possibile manifesto elettorale di quello che ad oggi rimane l’unica figura di riferimento per la mia crescita intellettuale: Largo LaGrande.

Largo LaGrande durante una recente tribuna politica

Largo LaGrande durante una recente tribuna politica

Comunque sia. Chiamare a suonare un gruppo di cileni a ridosso dell’11 settembre è una scelta coraggiosa che non si può che apprezzare. Chiamare un rap(p)er di New York fatto di meth e risentimento, d’altra parte, non avrebbe fatto vendere la stessa quantità di birre agli organizzatori. Naturale quindi optare per la band che con il golpe Pinochet, avvenuto proprio mentre erano in tour in Italia, ha perso praticamente tutto.

Quando arrivo allo stand i posti sono già praticamente esauriti. La platea è composta da una fila di una 50ina di sedie di plastica occupate dai fan della prima ora. Sulle fasce stazionano i figli, mezze ali dal passato protoanarchico pronti a crossare al centro. Lì, nell’area piccola sotto il palco, i nipoti in kefiah e cresta aspettano voraci la palla giusta per inneggiare ad Allende ed alzare il pugno sotto la curva. In panchina i giovani democratici non fanno un cazzo come al solito se non spinottare birre e blaterare di rivoluzione caricata a salve.

inti-illimani-bolognaI toni, fatta eccezione per qualche bandiera cilena e alcuni striscioni contro i regimi, sono pacati. Almeno fino alle hit più attese (Samba Lando ed El pueblo unido), quando sotto il palco partono ingiustificate tarantelle tra i più giovani. Fanno capolino pezzi di Victor Jara e addirittura un Buonanotte fiorellino che lascia sgomenti i più.Uno dei chitarristi riesce anche a far battere le mani al pubblico su un tempo di 7/8. Thumbs up per te.

L’offerta All Inclusive Minuti Veri di tutte queste generazioni di intellettuali combattenti si rivela alla fine dei conti un pacchetto inoffensivo e festante. Guardandomi intorno mi chiedo piuttosto come facciano i venditori ambulanti della Montagnola a non essere miliardari con tutti gli stracci di canapa e i sandali di cuoio fatti a mano che vedo, ma questo è un altro discorso.
[NdA: Per chi all’università fosse stato troppo impegnato a lavarsi per accorgersene, i vestiti di canapa a righe tendenzialmente marroni e gialle sono la divisa ufficiale dei militanti extra-parlamentari. Per chi poi all’università fosse stato troppo impegnato a laurearsi per accorgersene, i militanti extra-parlamentari delle facoltà sono quelli che ora vi vendono il mutuo per la ristrutturazione della casa o gestiscono la fabbrica di famiglia nel Triveneto].

Se tutta la situazione che ho davanti agli occhi fosse un quadrato semiotico la descriverei al prof in sede di esame in questo modo:

quadrato-semiotico-degli-hippie

Scrivetemi per qualunque dubbio o puntualizzazione circa questo schema. Sarò felice di non sapervi dare una risposta dal momento che l’ho disegnato ad un after party alle 7 di mattina mentre un complice stendeva righe di keta.

A parte la sensazione di aver appena partecipato ad un macabro rito di necrofilia uditiva (intendendo con ciò l’attitudine ad ascoltare cose morte da tempo e riesumate per occasioni speciali, un po’ come le risate finte delle sit-com, registrate negli anni’50 e quindi uscite dalla bocca di gente oggi probabilmente morta) esco dal Parco Nord meno turbato di quanto temessi.

Certo, nel nostro Paese le velleità rivoluzionarie che nel Sud America hanno riscritto la storia sono credibili come le pretese di genuinità di un risotto liofilizzato. Ma se riesci a esulare dal contesto grottesco di slogan di cartapesta e hippie a piede libero (letteralmente) intorno a te, puoi provare le stesse sensazioni che provi quando ti propongono all’estero di mangiare la pizza hawaiana con ananas e prosciutto crudo: iniziale disgusto, crescente curiosità per un prodotto così singolare, apprezzamento nel momento dell’assaggio, lieve nausea, buona grazie ma anche basta.

Ecco. Partecipare a questi nostalgici ritrovi intergenerazionali ha il sapore della pizza hawaiana. Tutto sta nel capire a quale livello di nausea siete disposti ad arrivare prima di ammettere: “Buona, grazie, ma anche basta”.