L’apocalisse zombie al tempo (remixato) delle pere

Ieri sera mi stavo facendo una pera di baygon light tagliato col bifidus actiregularis quando mia madre mi chiama e mi fa una mia collega mi ha detto che ha trovato il tuo blog le piace molto ora le leggo pure io sarà divertente ma parli pure degli zii che bello mando il link a tua nonna. Ciao mamma le faccio forse non è il caso sai mi piace parlare di pedonecrozoofilia e al prossimo natale non vorrei trovarmi sotto l’albero uno stinco di vitellino da stuprare tra il secondo e il pandoro fottuti parenti imbonitori. Mi sono quindi ripromesso di scrivere una storia carina e batuffolosa su cuccioli di cerbiatto che scoprono la bellezza del mondo ma poi alla madre succedono robe però poi la Disney viene e mi fa il culo per i diritti quindi ho pensato parlo di una famiglia felice sulle Alpi che vive in uno chalet tipo heidi però ci sono sviluppi turpi poi ho pensato la Franzoni viene e mi fa il culo. E vedere la Franzoni che viene non è nella top 5 delle cose che vorrei fare nel breve termine. A meno che montare il microchip della Tommasi nel cervello della bimba con le trecce che viveva nella casa al mare vicino alla mia non scenda in sesta posizione. Era bellissima e io la guardavo timido nascondendomi dietro il mio triciclo rosso fingendo di giocare con i cavalieri dello zodiaco. Grande estate, quella del 2010.

bambi-zombieAllora decido di impostare le basi per un racconto breve che svilupperò grazie ai finanziamenti ottenuti per aver smazzato sottobanco marmellata di fragole e bignè alla crema ai pazienti dell’istituto diabetici. Praticamente è un survival horror post-apocalisse da antrace calabrese dove il protagonista è un gatto Sphinx (già, quelli senza pelo impossibili da amare) che deve cavarsela tra gli alti e i bassi di una vita caratterizzata da attacchi di zombie sanguinari, fuori sede con orride mut(il)azioni e mormoni con zaino e caschetto per la bici. Con il tempo queste creature si evolvono e si scambiano i ruoli, creando ibridi spaventosi come gli zombie mormoni. I caschetti sanguinari. I fuori sede con lo zainetto. O i mutilati e basta che fanno schifo uguale. Che poi chiedo scusa ironizzare sui fuori sede è sempre troppo facile e prevedibile. Questa città non rende loro la vita semplice e i risultati sono davanti agli occhi di tutti. L’altro giorno uno di loro mi ha chiesto 50 cents per l’eroina perchè si vergognava di dire che doveva pigliarsi un panino. Gli faccio “Sì sì, che poi te li spendi in un camogli col cotto. Vieni che pigliamo insieme la robba e ti guardo mentre te la spari diretta nel collo”.
Ad ogni modo.
La massiccia diffusione della droga del cannibale come l’ha ribattezzata un sagace editorialista nostrano ha ormai accentrato in maniera antropofaga le discussioni al bar, e uno non riesce più a parlare di abusi sui minori che l’informato di turno dà la colpa a queste nuove droghe sintetiche. Che poi dico io di droghe sintetiche potrei anche averne provate, però la faccia alla mia fidanzata non l’ho mai azzannata. A meno che lei non lo volesse, chiaramente. O che le droghe sintetiche non lo volessero. Perverse viziose sempre pronte a dare i suggerimenti più inconsueti. In attesa che l’ultima che ho preso mi scenda mi guarderò la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi. Viste le nuove frontiere del guerrilla marketing sperimentate a Denver probabilmente mi suggeriranno di andare a mangiare il naso a qualche portabandiera di un paese del terzo mondo a caso (la spagna andrebbe benissimo). Il cosplayer armato è in effetti una tendenza da non sottovalutare.

Non credo però la mia innata pigrizia me lo permetterebbe. Anche perchè so come ci si sente a non avere il naso. Tanti natali fa quello stronzo di mio zio me lo rubò strappandolo con la sua manona pelosa e sbeffeggiandomi con un canzonante “dov’è il tuo nasino?”.  Prima che potesse ridarmelo si era sbronzato di chardonnay e nocino ed era svenuto sul tavolo. Quando lo svegliai e gli dissi ti prego dammelo sto male negò pubblicamente ogni relazione dicendo che quelle sere lui era con i ragazzi al bowling. Non capii mai a cosa si riferisse. Mi vendicai però facendo la festa al suo gattino. Felino fottuto dovevate vedere come era felice mentre gli mettevo il cappellino a punta e accendevo le candeline della torta tra palloncini colorati. Quello del 2009 fu un natale piuttosto bizzarro.

Che poi questo pezzo doveva sponsorizzare il nuovo EP di Rob Zombie, Mondo Sex Head, che anticiperà il suo nuovo album di remix. Probabilmente una merda totale ma d’estate ci si può aspettare ben poco e comunque da quando quel bastardo del barista sotto casa mi ha strappato un orecchio come resto di un cappuccio sentire la musica risulta sempre più ostico questa moda deve finire non succede ma se succede io ho la mia mazza da baseball pronta e poi insomma se dovesse succedere ‘sta cazzo de apocalisse di certo non sarei tra quelli che resistono per sei serie di seguito ma sono tra i primi a cadere tra le loro braccia affascinato dalla loro possibilità di ciondolare tutto il giorno alla ricerca di cibo umano e mutilazioni improvvisate. Che se ci pensi è molto meglio che lavorare duro per trovare cibo disumano e mutilazioni ragionate.

Woody Guthrie [14 Luglio 1912 – 3 Ottobre 1967]

A well respected man

Avessimo voluto pubblicare questo pezzo su rockit avremmo potuto iniziare dicendo che senz’altro non è un caso il fatto che Woody Guthrie sia nato il giorno della presa della Bastiglia. Ma fortunatamente possiamo sbattercene il cazzo dato che I Cani non hanno fatto ancora nessuna cover.

Comunque sì, è nato il 14 luglio. Di cento anni fa.

Non stiamo a menarvela tanto su chi era e cosa ha fatto, potete tranquillamente andare a visitare Wikipedia o il suo sito ufficiale. Quello che conta è che Woody Guthrie era uno che suonava canzoni folk.

“Scrivo canzoni di protesta, quindi sono un cantante folk”. Joe Strummer sapeva che cosa voleva dire suonare folk. Perché non era un coglione e perchè conosceva bene Woody Guthrie. Non per niente si faceva soprannominare Woody.

This machine kills fascists portava scritto sulla sua chitarra. E probabilmente ne ha seccati più lui con quella chitarra della P38 di Prima Linea.

A Joe Strummer il Comune di Tonara ha dedicato una via. A Woody Guthrie quello di Modena dedicherà un monumento dentro una rotonda. Certo, potevano pure scriverlo nella sua lingua this land is your land, ma sempre meglio di niente.

Dunque senza Guthrie niente Strummer, niente Dylan, niente Baez e, pensa te, ora la dico grossa, niente De Gregori. Sticazzi direte voi. Lo dico anche io.

Per dire, Woody Guthrie ha scritto un intero album su Sacco e Vanzetti e nonostante ciò niente ci leverà di dosso quell’incredibile vergogna di aver dovuto subire la rivalutazione delle loro figure grazie a una canzone – non di Guthrie – cantata da Emma Marrone e i Modà a Sanremo. Ah, per inciso, caro Morandi, Sacco e Vanzetti sono stati uccisi perché erano anarchici, non perchè erano italiani.

Comunque, Woody Guthrie, che è nato cento anni fa, ha scritto tanta di quella roba che alla fine Billy Bragg e Wilco c’han fatto su un disco con i suoi testi. E She came along to me è una di quelle canzoni che farebbero innamorare di voi tutte quelle belle ragazze alternative che state puntando dagli aperitivi di inizio Maggio ma no, ciò non vuol dire che vi debbano per forza piacere le birkenstock, ricordatelo.

Morto a causa di una delle malattie peggiori che il vostro dio abbia mai mandato sulla faccia di questa terra, la Corea di Huntington, aveva detto una cosa del genere:

A folk song is what’s wrong and how to fix it or it could be 
who’s hungry and where their mouth is or 
who’s out of work and where the job is or 
who’s broke and where the money is or 
who’s carrying a gun and where the peace is

Quindi, cortesemente, la prossima volta che nella vostra città organizzate un concerto di gente tipo Maria Antonietta, evitate di scrivere “folksinger” nel comunicato stampa.

Perchè io la capsula di cianuro ce l’ho sempre in tasca. E in questi casi mi viene davvero voglia di usarla.

Summer time, and the livin’ is easy.. la TOP 10 di (this)

I ragazzi di (this) festeggiano l'estate

Il mese di luglio volge sudato al termine e, come da retaggio scolastico, la voglia di fare nulla aumenta. Il nostro primo anno accademico di vita si conclude con l’estate 2011, e il bilancio registrato è davvero ottimo. Merito, forse sì, dei tanti parenti che sono stati obbligati ad aumentare il ranking del sito, ma è indubbio che molti di voi ci abbiano seguito con affetto per questi primi 9 mesi di vita.

Ecco perchè, riconoscenti, solidali, o forse senza troppa voglia di scrivere cose nuove, vi regaliamo l’imperdibile TOP 10 dei post più popolari di quest’anno.

Una sorta di bignami da leggere sotto il vostro ombrellone, da assaporare, condividere, ignorare, schernire, commentare, ipaddare, mantecare o anche solo usare come scusa per non fare sesso con il vostro fidanzato.

– I sintomi del Natale 1/Il panettone (leggi)

– Intervista con Willie Bullshit, candidato sindaco di Bologna (leggi)

– Non solo Forum. La lista completa dei ringraziamenti al Nostro Presidente (leggi)

– Trucebaldazzi & Spitty Cash live @ Millennium – Bologna (leggi)

– No Vasco, io non ci casco (leggi)

– Fauna da concerto: quando lo show è in platea (leggi)

– Guess who’s (NOT) coming to dinner. L’harakiri dek rock’n roll abbronzato (leggi)

– Elogio funebre preventivo: Vasco Brondi (1984 – 2045) (leggi)

– Ermeneutica della sala prove bolognese (leggi)

– Volevo vedere Jon Spencer (leggi)

Un ringraziamento speciale alla tag “ciucciacazzi a tradimento”, inserita per goliardia verso novembre e tutt’ora la principale chiave di ricerca che porta a (this). non so cosa cerchiate su google, ragazzi, ma di certo non lo troverete qui. Keep on trust in us, anyway!

Scriveteci se credete che il vostro post preferito non sia stato messo in classifica. Non faremo nulla, ma avrete speso in maniera creativa un paio di minuti

A presto

Rock in Idrho 2011: cronaca di una morte annunciata

La prima volta che lessi la scaletta del Rock in Idrho di quest’anno pensavo stessero scherzando. Una line up pazzesca, da mandare in bancarotta qualunque agenzia di eventi. In effetti i costi di panini patatine e bibite all’interno dell’arena mi ha fatto capire subito in che modo avessero preventivato di coprire le spese, ma va detto in loro difesa che 50 euro di biglietto per un evento simile è una cifra risibile, quindi pace fatta e via con lo spettacolo.

Giovani amanti della musica si dissetano in attesa dell'evento

Dopo un viaggio più veloce del previsto (la vodka rischiava di scaldarsi, e il pilota non ha badato ad autovelox) siamo arrivati alla fiera di Rho. Grande delusione perchè speravo finalmente di vedere quella meraviglia di architettura lecorbusiana che è l’idroscalo. Pazienza, le zanzare non mancavano comunque neanche lì. Non abbiamo purtroppo fatto in tempo a vedere i giovani vincitori del contest del festival, tali Outback. Tanti complimenti comunque per essere apparsi a queste latitudini. Mentre percorrevamo i 25 chilometri che separano il parcheggio dall’arena, i Ministri hanno fatto in tempo a salire sul palco, suonare nell’indifferenza (quasi) generale, e tornare nel backstage. Peccato, perchè rimangono a mia detta una delle band più interessanti e meno finocchie del panorama rock nostrano. Ad ogni modo, chi ha affrontato il sole battente (circa 25 gradi all’ombra) per sentirli pare sia rimasto soddisfatto. Good job, un domani sicuramente saliranno di livello nelle scalette di questi festival.

La prima impressione che quest’arena ci ha regalato è stata comunque positiva; improvvisata tra i casermoni della fiera, riusciva a non essere grigia e anonima, grazie anche agli immancabili stand di multinazionali che ne coloravano il perimetro. Ragazzetti con le t-shirt dei gruppi che avrebbero suonato non mancavano, come da regola, e neanche gli esaltati con la maglietta ufficiale del festival. Tipo se-mi-sveglio-ubriaco-in-un fosso-so-dove-sono-stato-fino-a-poco-prima.

Il live dei Flogging Molly è stato onestissimo: celtic punk vecchia maniera, con un’anima irish folk intrisa di punk rock ammeregano, e una crew sul palco di decine di musicisti con violini, fisarmoniche e compagnia bella. Chi li conosce bene ha commentato entusiasticamente la performance, e anche chi come me stava rosolandosi al sole con una pinta ghiacciata se li è goduti benebene. Buonumore diffuso tra i già quasi 15 mila presenti nell’arena (a fine serata la cifra si è attestata sui 30mila spettatori), e ottimismo dilagante che ha portato anche i detrattori dei Band of Horses ad andare sotto il palco per il live successivo. Pessima scelta. La band di Seattle ha esordito con una scaletta zeppa di singoloni da virgin radio, nessuna passione espressa, e una durata di live scandalosamente breve. Sarà che mi stanno un pò sulle palle questi gruppi indie intercambiabili tra di loro, ma è innegabile che durante il live la folla si assotiliava sempre di più, andando a colmare le file ai 3 stand di birra già ampiamente popolate. Brutto colpo per i giovani hipster occhialuti accorsi a Rho, anche perchè da lì in poi si è smesso di scherzare, e il sound si è fatto sempre più tirato.

Poco dopo infatti (i cambi palco sono stati per tutti i gruppi rapidissimi, con sound check già digitalizzati nel mixer e attesa minima tra un gruppo e l’altro. bravissimi) sono saliti gli Hives. Dio benedica questi ragazzoni svedesi accorsi in bombetta e frac fin sotto le Alpi. Anticipati sul palco da un team di roadie ninja (!!!) che ha provato gli strumenti e ha passeggiato a scatti per tutta la durata del live suonando cembalini, gli Hives hanno dato una lezione durissima a chi li ha infilati a metà pomeriggio, in un festival dove potevano tranquillamente campeggiare nel podio delle star. Qualche parola italiana per imbonirsi la folla, e Pelle Almqvist ha dato il via ad uno dei live più potenti che io ricordi. Giusto mix tra classiconi e ultimi pezzi (di cui un inedito che pare uscirà nell’album previsto per il 2012), peccato per le sorelline di 15 e 13 anni che, infilatesi sotto il palco per guardare bene quei figaccioni del nord, urlavano terrorizzate ad ogni accenno di pogo/ballo di gruppo. Cara mamma milanese, se vuoi forgiare giovane rockettare non portare le tue creature sotto il palco di una band simile, a meno che tu non voglia crescere degli hamburger con vaghe fattezze umane per gli anni a venire. Thumbs up però per il loro amichetto di pochi anni di più che cercava di difenderle abbracciandole, con l’unico risultato di crollarle addosso in lacrime e farle ancora più male. Scene grottesche a parte, citazione particolare per la versione ultradilatata di Tick Tick Boom con tanto di freezing  (tutti quanti immobili per un minuto buono) che ha fatto tacere anche i detrattori che li accusano di non avere una forte personalità nei live.

Soddisfatto dal concerto che più di tutti aspettavo, ho deciso di asciugare il sudore (mio e dei numerosi energumeni a petto nudo che mi hanno sballottolato per un’ora strusciandomi le loro ascelle mefitiche in ogni luogo e in ogni lago) pigliandomi un panino e una birra. “Tanto per il live dei Social Distortion mancano almeno una ventina di minuti, e il tempo c’è tutto” pensavo io ebbro, ottimista e stronzo. In quasi un’ora ero riuscito ad accaparrarmi solo il panino, per la birra ho dovuto delegare ad altri il compito, mentre il live dei Social Distortion già da tempo faceva vibrare in quattro quarti il suolo rovente dell’arena. Aperto con Bad Luck, il loro è stato un live senza troppi fronzoli, a mio giudizio un pò lento, ma comunque eccitante per i numerosissimi giovani accorsi con la maglietta del teschietto con martini e paglia. Zio Mike non ha più vent’anni, si vede da come si è conciato per salire sul palco, ma l’anima di chi contribuisce a fondare un genere come il punk rock non invecchia mai. Punta di diamante la cover di Ring of Fire di Johnny Cash, evergreen dei loro live, suonata con un’enfasi punk accaldatissima e molto applaudita dai fan.

Finito il lauto pasto, siamo andati fin sotto il palco per vedere Iggy (o, come scoprimmmo più tardi, ciò che rimaneva di lui) sgambettare sul palco. Degli Stooges è rimasto ben poco, e anche ciò che è rimasto non se la cava benissimo. I pezzi suonano sempre bene (chi è venuto per sentire Luoie Louie o The Passenger è rimasto deluso, dato che non vengono quasi mai riproposte live) e la versione più rock di I Wanna Be Your Dog ha riportato un pò tutti quanti a vent’anni fa, quando Iggy era l’icona delle generazione Trainspotting e il suo petto nudo celava ancora in parte gli anni di stravizi. Ora di quell’Iggy è rimasto poco, a tratti faceva quasi tenerezza, mentre si metteva in posizione punto interrogativo o da odalisca strafatta. Un bacio a distanza alla ragazza  di fronte a me con cappello di paglia e tattoo di un fiore appassito, che per fotografare il megaschermo (nemmeno il palco) dove si dimenava il suo presunto idolo, ha cancellato una ad una le foto delle vacanze al mare con i suoi figli. Verso la fine il nostro amato iguana ha fatto salire sul palco un pò tutti quanti, compresi esagitati che gli hanno baciato i capezzoli al vento, e il tutto si è concluso con un sapore agrodolce. Un pò perchè il suo fisico non regge più benissimo, un pò perchè in effetti perpetuare la macchietta del bad boy da zoo di berlino ad una certa età può metterti in situazioni di imbarazzo. Rimane indubbio il fatto che io baldo trentenne un pò sovrappeso sputo sentenze via blog, mentre lui a 60 anni suonati intratteneva mezzo nudo 30mila persone in estasi. La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza, profetizzava sotto oppio il buon Blake, e forse non aveva tutti i torti.

Infine, i Foo Fighters. La scaletta del concerto era già stata pubblicata sul sito del gruppo, dove ormai pubblicherano anche i frame di Dave Grohl che pulisce il culo della figlioletta o le registrazioni della gara di rutti vinta da Pat Smear nel pullman del tour. Comunque è stato emozionante sentire grandi classici come Best of You, Learn to Fly o My Hero cantati in coro da tutta l’arena, e il gruppo ha dimostrato di essere ormai una band da stadio ben rodata. A riprova, la cover di Tie Your Mother Down dei Queen, band da stadio per eccellenza, presentata con una potenza impressionante. Il buon Dave ha raccontato di quando, 18enne, veniva a suonare al Leoncavallo, e ha intrattenuto con genuina simpatia tutto il pubblico, dando l’impressione di divertirsi sul serio. Passerella per il batterista cantante Hawkins e il figliol prodigo Pat Smear (il chitarrista che per assurdo può dire di aver suonato nei gruppi più importanti della storia, vedi Fighters, Germs, Adolescents e Nirvana, senza però mai lasciare un vero segno). Chiusura dopo quasi due ore con Everlong, e applausi commossi dei presenti. Sipario giù.

L’orda di rockettari si è riversata ai cancelli in massa, regalando gli ultimi brividi della giornata a chi di loro aveva visto le immagini dell’Heysel. Parcheggio, biglietto, coda,  tangenziale, autostrada, panino in autogrill, cesso in autogrill, furtarelli in autogrill, pennichelle lungo la strada e alba che comincia a fare capolino. Alle 5 passate siamo a casa. Io mi accorgo di aver lasciato delle cose all’Arena e sto per guardare tenero Andrea che guida per chiedergli di tornare indietro a prenderle. Desisto dopo la prima occhiata. Siamo davvero morti, meritato riposo sia. Che tra pochi giorni ci sono Motorhead e Iron Maiden ad Imola..

Elogio funebre preventivo: Jessica Brugali, Miss Padania 2011 (1993 – 2078)

Avviso: come abbiamo spiegato qualche tempo fa, questa sezione dell’ Elogio Funebre Preventivo è ispirata dalle lezioni della scuola popolare di scrittura emiliana tenuta da Paolo Nori presso la libreria Modo Infoshop. Per evitare eventuali accuse e/o ringraziamenti non dovuti, ci atterremo alle stime Onu sulla vita media della popolazione mondiale conferendo ai deceduti un’età approssimativa di 85 anni.

Jessica Brugali, Miss Padania 2011 (1993 – 2078)

MONZA – La camera ardente del quirinale di Cantù è stata oggi aperta al pubblico per rendere omaggio alla prima presidentessa della Repubblica di Brianza, Jessica “Thor” Brugali. La Repubblica brianzola, fiore all’occhiello dell’economia euroasiatica, resasi indipendente nel 2053 in seguito alla celebre marcia su Cesano Maderno, deve alla ex-bionda tutto pepe il suo codice di procedura penale ufficiale, codice tutt’ora al centro di aspri contenziosi con i detrattori della legittimità della Nostra Amata Repubblica, a causa dell’ambiguo riferimento al concetto di “penale” ideato dalla Nostra Illuminata. “La legalità non si succhia” è stato per anni lo slogan degli sciovinisti bolscevichi ancora legati all’antiquata patria italiana e alla sua Costituzione. Uno slogan man mano smantellato dagli incontri privati che la presidentessa ha avuto con i leader dei suddetti facinorosi, membri tra l’altro della lega italoafricana. Per chi si avvicina solo ora al panorama politico della penisola a sud di Graz, ricordiamo che la lega italoafricana è composta da tutto ciò che non è Brianza, a partire dalla palude milanese, patria dell’ormai consolidato stalinismo omozingarofilo, passando per la pianura del Nuovo Xinjiang (l’ex-Veneto), fino ad arrivare all’impronunciabile isola al largo della punta dello stivale.

La Presidentessa a 18 anni, già fornita di quei "Reggiseni 3 taglie più grosse" che dal 2021 divennero il must per maschi e femmine della nostra Repubblica

La compianta Brugali, all’alba dello sfaldamento della Repubblica Italiana, vinse a Milano l’ambito titolo di Miss Padania, un onore che da lì a pochi anni la portò a sposare il figlio del Presidente della Repubblica, nonchè primo fondatore dell’Ordine del Nulla, Renzo Bossi.

Le sue dichiarazioni al momento della sua incoronazione, circa la superiorità delle donne del nord su quelle del sud, permisero a tante ragazze del sud iscritte all’università di aprire finalmente gli occhi, capendo quanto in realtà fossero destinate solo ad una vita di calzini rammendati e bianchini bevuti di nascosto dal thermos del caffè di fronte alla televisione. La Lega delle Rammendatrici e della Nobile Arte del Puntocroce, braccio armato del PIL delle regioni in fondo allo stivale, sentitamente oggi ringrazia.

Una visionaria della sociologia post-moderna, che grazie a sillogismi aristotelici quali “Una con i capelli, gli occhi neri e i caratteri mediterranei non c’entra proprio nulla con la Padania” e “Gli italiani hanno frainteso le ultime elezioni. Non hanno capito bene la campagna elettorale” ha rivoluzionato il linguaggio della politica.

Il suo primo incarico di spessore, Ministro per la difesa delle radici culturali brianzole con specifico incarico relativo alla Busecca Matta, piatto ipercalorico da gustare rigorosamente rivolti a Nord, 5 volte al giorno, ha permesso al grande pubblico di apprezzarla anche per le sue innumerevoli abilità extra-politiche. In particolare, certi ruoli in fiction locali a basso costo l’hanno resa celebre per la sua caratteristica forse più nota, grazie anche alle sceneggiature scritte appositamente per lei.

La Brugali dopo una delle sue scene più classiche

I cittadini della Repubblica di Brianza la vogliono ricordare ancora con quello sguardo intenso e quella voglia di spaccare il mondo che li ammaliò per quasi 50 anni di vita politica. La sua cittadina natale, Albino (nomen omen) ha dedicato a lei il reparto di meteorismo geriatrico post-primoictus dell’ospedale Otto von Bismarck.

Adeste fidelis.

La nostra paladina non c’è più.

Alberto da Giussano, in una conference call con i medium più potenti della nostra Amata Repubblica ha assicurato che se ne prenderà personalmente cura. Trattacela bene, Alby. Le nostre vite oggi sono un pò più vuote e un pò più prive di speranza per il futuro.