I R.E.M. si sono sciolti. Is it the end of the world as we know it? Well, I feel fine

I R.E.M. nel 1984, featuring capelli

La prima notizia che il giornale on line mi sottopone stamane è di quelle che fanno tremare le ginocchia. I R.E.M. hanno comunicato lo scioglimento. “Abbiamo costruito qualcosa di straordinario”, scrive il cantante Michael Stipe, “ma tutto ha una fine. E noi abbiamo deciso di chiudere a modo nostro”. Che poi sarebbe scriverlo sul proprio sito (che eccentrici!) grazie a post individuali nemmeno troppo coordinati tra loro. Come dire, lascio mia moglie tramite una e-mail, dopo 30 anni di matrimonio, e ne mando pure una ai miei zii per comunicarglielo. Ma ci vogliamo ancora davvero bene, eh. Fonti certe parlano di un Dj Mingo dell’Estragon distrutto, sull’orlo di una crisi di nervi: quale band gli darà ora i singoli da proporre in heavy rotation? “Dovremo mettere una volta di più right about now, the funk soul brother, check it out now, the funk soul brother adesso – pare abbia commentato coi suoi fumando nervosamente – non posso mica trovarmi un gruppo nuovo da aggiungere alla playlist!”. Se poi i Bandabardò decideranno di fare la stessa fine dei mai troppo compianti R.E.M. (ma poi davvero erano ancora in attività??) siamo certi che il tasso di suicidi all’interno del collettivo aumenterà vertiginosamente.

Scherzi a parte, per chi come me ha abbastanza anni da aver visto la parabola dei R.E.M. sprofondare senza appello nei programmi sempre più late night dei canali musicali, il dramma è comunque relativo. Ieri il messicano sotto casa aveva finito la salsa piccante e ho dovuto mangiare un burrito intero senza il mio amato chipotle. Wow, gente, quello sì che è un dramma che meriterebbe più attenzione. Il numero 176-761 della Banda Bassotti Disney, invece, ha commentato caustico “Forse adesso la smetterà di copiarmi il make up”. Come dargli torto.

E’ un peccato che il qualunquismo pop abbia aggredito orrendamente le pareti delle canzoni della band della Georgia. Ammetto che fino ad Up, il sound, benchè mai troppo originale, fosse a tratti piacevole e le canzoni avessero melodie discrete. La formula è sempre stata quella di qualche canzone riuscita per album, e video studiati in effetti bene, per nascondere comunque la miseria del resto del lavoro. Il gruppo si basava sul carisma del leader Michael Stipe e la prematura uscita dal gruppo del batterista Bill Berry per aneurisma non aveva comunque intaccato la natura e l’immagine della band. Fino a quel momento, buoni episodi nell’underground indie come Murmur e Reckoning valsero loro il rispetto della critica musicale e di molti appassionati del pop a 360°.

Niente di nuovo quando pochi anni dopo firmarono con una major. Buoni album (fra tutti ovviamente Out of Time e Monster, che se avete frequentato un qualunque rock club avrete sentito snocciolare più volte) e la nomea di band santona i cui testi criptici (ma in realtà spesso senza senso) di Stipe aiutarono a diffondere il mito della band un pò intellettuale ma anche un pò per tutti. Easy listening e testi su cui riflettere. Mix vincente.

Sono le sei – l’ora della TV. | Non fatevi prendere in una torre straniera. | Apertura e bruciatura, ritorno, ti ascolti ribollire. | Rinchiudilo in uniforme e bruciare di libro, sangue in affitto. | S’intensifica ogni movente. | Incenerire automovente. | Accendi una candela, accendi un voto. | Un passo in basso, un passo in basso. | Guarda una folla di tacchi, folla. Uh oh, ciò significa niente paura – disinvolto. | Rinnegato e stai alla larga! | Un torneo, un torneo, un torneo di bugie. | Offrimi soluzioni, offrimi alternative e io declino.

Chiaro.

La farsa non poteva andare ancora avanti. 31 anni possono essere abbastanza io credo.

“Ma cosa dici? Losing my religion rimane un classico!”. E’ vero, ma anche What’s up delle 4 Non Blondes, e nessuno ha pianto quando se ne sono andate affanculo.

“Sono stati sulla cresta dell’onda 30 anni, guarda quanti video e singoli hano sfornato”. Falso, anche Paola Turci fa dei video per Mtv ma non la definirei “sulla cresta dell’onda”. La permanenza in alto si valuta in base all’attività live, e la loro parla chiaro (addirittura dopo l’uscita dell’album Colapse into now nel marzo 2011 dichiararono di non voler fare dei live di presentazione del disco, giusto perchè loro i loro fan li amano)

“I testi di Michael Stipe hanno segnato una generazione”. Sì eh? Bè vuol dire che non capisci l’inglese, quindi affanculo te ce manno in italiano.

Un peccato perchè comunque rimangono gli autori di uno dei miei videoclip preferiti di sempre, Imitation of Life, ma tant’è. Ora avanti con le raccolte di singoli. Per almeno un paio di mesi ce le dovremo sorbire, come da regolamento. Chiudiamo con un accorato appello scritto proprio da Stipe in un suo pezzo del 1992:

“Non lasciarti andare | tutti piangono | e tutti soffrono | a volte | qualche volta tutto è sbagliato | ed è tempo di cantare insieme…”

Chitarre acustiche e canzonieri in mano, gente. D’ora in poi i R.E.M. vivranno solo nei nostri ricordi intorno al fuoco.
http://www.dailymotion.com/embed/video/x1lb0z
REM – Imitation Of Life by djoik

Kalispéra di no, che poi s’avvera

Dopo la lettera aperta indirizzata al Blasco nazionale pubblicata qualche settiman fa (la potete rileggere qui), pubblichiamo ora lo sfogo di un amico di (this), finito nella trappola di un pomeriggio televisivo. Ecco le sue impressioni a caldo.

“Essendo la vita del disoccupato alquanto ripetitiva e pallosa, la giornata passa cliccando sulle freccette verdi di “aggiorna” della pagina di Subito.it (sito di annunci di lavoro), e di Repubblica.

In passato la cosa poteva anche dare certe soddisfazioni (vedi l’aumento giornaliero dei morti americani in Iraq), ma  il tutto è ora sostituito dai giapponesi terremotati, o dalle mignotte in gita a casa del nostro premier. Se il primo argomento mi dà un po’ da pensare (che bello sarebbe stato avere una centrale nucleare vicino all’Aquila), il secondo ormai mi ha eroso i coglioni.

Avendo avuto il fegato di accendere la televisione, ho quindi scoperto che una puntata di Kalispera di Alfonso Signorini era bell’e pronta per essere gustata. Allora mi siedo sul tappeto di Lebowskiana memoria (sfortunatamente senza White Russian e fortunatamente senza residui urinici), e mi preparo per un viaggio alla scoperta delle interiora flaccide e basse del medio popolo italico.

Una scenografia alla Will e Grace mi fa già supporre che il coming out del presentatore ormai sia una pura formalità, e il suo sorriso ebete mi fa sentire già più intelligente. Tra stacchetti musicali, letture di rotocalchi su schermo gigante e massimo boldi che cucina salsicce insieme alla dalla chiesa (esumata dal cimitero di forum, dove si dice sia seppellita pure la moglie di Boldi), i primi 15 minuti passano in slow motion.

Ad un certo punto, la scena Cult.

A differenza di “The Texas Chainsaw Massacre” di Tobe Hooper, invece di trovare un uomo con maschera in pelle umana che insegue per la foresta una scosciatissima ragazzina terrorizzata, si materializzano sul divano di Signorini in sequenza Mimun, Brachino ed Emilio Fede. Tutti e tre in pulloverino cashemirato, tutti e tre con lo sguardo fiero e un po’ sborone del “direttore di telegiornale”, tutti e tre sbavanti davanti alla Santarelli (questo glielo potrei anche perdonare, se poi lei non si mettesse a fare ciò per cui non è portata: parlare).

Quando poi il clima della trasmissione televisiva leggera si trasforma in quello di osteria leghista con grappa e rutto libero, il nostro Alfonso ci tiene a sottolineare che quella è l’Italia che ama, ovvero l’Italia di pancia. Per sottolinearlo, scatta lo stacchetto a due della sopracitata Santarelli, insieme ad un’altra desnuda di ignote origini ma di consolidate capacità lapdansistiche. Nessuno ormai si chiede più se sia stata anche lei nel villone del presidente, perché le due cominciano ad amoreggiare platealmente, sfiorandosi con lingue e culi, mentre il cameraman ha la brillante idea di fare un primo piano al volto emaciato di Emilio Fede, ormai vittima di cervicale a causa del peso della saliva sulla lingua.

La successiva intervista del conduttore alle due starlettes sarà un’ode alla porcaggine voyeuristica che più amiamo noi italiani (ormai sono stato rapito e non posso esimermi dal considerare Kalispera un pezzo di storia della televisione), con domande che andranno dal “ma tu sei dominatrice o schiava”, alle più morigerate affermazioni “certo che il tuo ragazzo, Corradi, è uno stragnocco di prima categoria.. ce lo avessi tra le mani io”. Visto che l’immagine appena sognata dall’Alfonso ha provocato un suicidio di massa di tutti gli spermatozoi presenti nel mio sacco scrotale, decido di allontanarmi di qualche metro dallo schermo, per capire se quello che sto vedendo non sia solo frutto di un’allucinazione dovuta al detersivo per pavimenti che mi sto bevendo.

Mentre la mia mano, scollegata da me, cerca di trovare il pulsante rosso della televisione per evitarmi di finire in Videodrome, sbuca dall’angolo Corona con mamma al seguito, e la stanza intorno a me comincia a danzare.

Colto da convulsioni, decido che è il caso di raccogliere la bava di cui è cosparso il tappeto, e rimettermi al computer.

Quanti è che sono ora i morti in Giappone?”

di Jacopo Mattia Martini


Elogio funebre preventivo: papa Lemmy Kilmister (1945 – 2030)

Papa Lemmy durante il suo ultimo angelus, intitolato "Lasciate che le donne vengano a me"

9 febbraio 2030 – “Il Santo Padre è deceduto questa sera alle ore 21.37 nel Suo appartamento privato. Si sono messe in moto tutte le procedure previste nella Costituzione apostolica ‘Universi Dominici gregis’ promulgata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio del 1996”. E’ quanto ha detto il portavoce vaticano, Roque Santa Cruz Buttiglione, uscendo dalla camera dove papa Lemmy Kilmister ha esalato il suo ultimo respiro (voci non confermate parlano più dettagliatamente di rutto al sapore di birra calda e ostia & chips).

Il cordoglio delle più alte cariche della comunità internazionale è stato immediato e sinceramente commosso.

Il presidente del consiglio italiano Renzo Bossi ha ragliato ai microfoni di CanaleRai5 parole di sconforto per la perdita di uno degli ultimi ariani dotti, mentre il suo portavoce ufficiale, Mike Bongiorno, ha scosso la testa sconsolato per aver già utilizzato l’ultimo bonus vita diversi anni fa.

Il ministro della pubblica istruzione Trucebaldazzi, intervistato a caldo, ha dato inequivocabilmente la colpa a fantomatici insegnanti che non avevano capito i problemi dell’amato Santo Padre. Sgomento diffuso tra i cronisti per la sua mostruosa sudorazione.

Il capo delle Heavy Brigade Combat Team, da ormai 7 anni a capo dei 3 cantoni svizzeri separatisti, ha mormorato parole di sconforto per “la perdita del padre della fede e di gran parte delle sue concittadine”.

I presidenti di Francia e Spagna, Fabien Barthez e Gerard Piquè, trovati nuovamente insieme nei bagni di una birreria di Oviedo, hanno dissimulato il loro stato libidinoso versando amare lacrime di dispiacere per non aver mai conosciuto più intimamente questo gran bel papa.

Padre Samuel L. Jackson, capo dell’Esercito Mormone di Liberazione Nazionale, ha ricordato i tempi in cui insieme sniffavano diabolica cocaina non tagliata sulle schiene di immonde minorenni tentatrici.

Il giovane Lemmy prima dell'illuminazione

Il Santo Padre era inquilino del Vaticano ormai da 13 anni, da quando cioè, risvegliandosi dopo un live dei suoi Motorhead si era ritrovato in una cappella della periferia di Bristol con 12 vergini e una tunica immacolata.

L’errata interpretazione data dall’hungover da Jack Daniel’s e metanfetamine lo portò a immedesimarsi in San Paolo sulla via di Damasco, e fondò istantaneamente la MadafuckinChurchOfHolyRock. Un incredibile vuoto legislativo nei libri di diritto ecclesiastico gli permise da lì a 3 mesi di giocarsi a poker il ruolo di papa col suo predecessore. Leggende metropolitane raccontano che se lo sia portato a casa con una doppia coppia al jack. L’urlo vichingo successivo alla vittoria risuonò per mesi nelle tetre stanze di Castel Sant’Angelo.

Brutale, violento, scabroso collezionista di reperti nazisti e al tempo stesso dichiaratamente anarchico e antifascista. Da roadie di Jimi Hendrix, Ian Fraser Kilmister era passato prima a icona del rock ‘n roll più molesto con i Motorhead, poi re della sessualità perversa, forte delle sue 1.200 donne conquistate (con mezzi più o meno leciti), e infine vate della anarco-riorganizzazione vaticana.

Fra i suoi principali contributi alla crescita della Chiesa nel mondo, ricordiamo l’impegno costante nell’insegnare a suonare ai pochi papa boys sopravvissuti le canzoni di Hellacopters ed AC/DC. In tempi non sospetti, fu il primo a inaugurare la stagione di apologia del sesso pedonecrozoofilo.Quest’ultimo pare potrebbe essere la causa della sua prematura dipartita.

La comunità internazionale, stretta ai suoi familiari (riconosciuti e non), porge il suo ultimo saluto ad una divinità troppo presto calciata via dalle nostre ora un pò più vuote esistenze.

 

Ora e sempre nei secoli dei secoli.

Ace of spades.

 

Elaborazione grafica dal futuro tramite UncleJeffe

Un pò amante, un pò puttana..

.. ecco cos’è la tua band preferita. Quando poi idolatri una zoccola come Jack White ti abitui al fatto che sempre più spesso tra i suoi mille progetti ne caghi fuori alcuni veramente non sense, partoriti da uno stomaco ulcerato colmo di McRoyal Deluxe e agitazione pornobrutal. Certe volte, nel buio della mia cameretta, sentendo i progetti all star dei VIP del rock, piango in silenzio. A volte poi capita che i Them Crooked Vultures, dio-li-benedica, composti da messia della musica suonata come si deve (Josh Homme, Dave Grohl, e John Paul Jones) facciano alla Brixton Academy da spalla agli Arctic Monkeys. Agli Arctic Monkeys. All’attivo nelle vendite i dischi che solo Jones ha smazzato con gli Zeppelin in un mese di carriera. Ora il cane si rimorde la coda. Ed è uno degli Arctic (bravi eh, però checcazzo) che fa una all star band, con membri di Libertines, Babyshambles e Super Furry Animals. Meritocraticamente mi disorienta quasi come il Greatest Hits di Cesare Cremonini. Certe volte, nel buio della mia cameretta, mi sento come il bambino dei palloncini di Don Hertzfeldt