Da oggi su (this) uno speciale countdown per il b-day di Jesus Christ, il solito megalomane che ci fa stare tutti a casa da lavoro solo perché compie gli anni.
In attesa del giorno X, il nostro speciale calendario dell’avvento in cui ogni giorno esprimeremo il (this)agio che proviamo per i simboli, o meglio, i sintomi del Natale.
Il panettone è il primo dei sintomi del Natale. Appare al supermercato circa due mesi prima della data fatidica del 25 dicembre. Quando ancora ti stavi abituando all’idea del freddo, della sciarpa e dei guanti eccolo li, a guardarti dalla scaffalatura come un boia pronto all’esecuzione.
Il panettone segna l’inizio del ciclo dei servizi al tg sulle influenze, seguiti a ruota da un mese di malasanità, economia stemperata da consigli per gli acquisti natalizi, morti a Capodanno, inflazione, Festival di Sanremo, primavera, allergie, malasanità, qualche catastrofe naturale, morti sul lavoro, estate, er calippo e a bira (poi si torna alle influenze di nuovo).
C’è chi il panettone lo inizia a mangiare a partire dal preciso momento in cui fa la sua prima apparizione al supermarket.
Tra questi teorici c’è mia nonna, che fonda il suo credo su due principali capisaldi: che ciò che c’è nel supermercato c’è, e quindi va consumato (una sorta di riadattamento di Parmenide) e l’affermazione “costa 4 euro e ci fai colazione per due settimane”.
Probabilmente la lunga durata del panettone a colazione è da imputare al fatto che i canditi di prima mattina insieme al latte provocano acidità di stomaco, dunque solitamente il dolce viene consumato con una lentezza inaudita.
I maratoneti del panetùn, ovvero i fruitori di lunga durata, quando “esso” a Natale compare in tavola manifestano spasmi ed attacchi di panico.
Nonostante ci sia uno zoccolo duro di amanti del panettone, il dolce piemontese è stato vittima negli ultimi anni di insopportabili variazioni sul tema mirate a raggiungere una fetta più ampia dei consumatori.
La più orrenda di queste è il panettone senza canditi e senza uvetta.
Mi sono sempre chiesta: ma perché comperare un panettone senza niente? Non è forse meglio comperare un kilo di pane montanaro e farsi delle bruschette a questo punto? Dobbiamo per caso farcelo piacere per forza o è meglio rassegnarsi al fatto che forse, semplicemente, non ci piace il panettone?
Un danno collaterale del panettone è il pandoro, il suo vicino soffice e minimal privo di canditi, da condire con gonfie bustine di chimicissimo zucchero a velo o chilogrammi da mascarpone e nutella: piace alle categorie a rischio, ovvero donne e bambini.
Ricordiamo tra gli altri prodotti correlati lo storico Tartufone Motta: prodotto grazie al quale negli gli italiani hanno imparato due utilissime espressioni francesi: “Seplufasil” e “Bonsoir mes amis” pronunciate da un simpatico colono francese dalla pupilla dilatata (attore e mimo inglese in realtà) in tight.
Nella confusione generata da questo eccesso di offerta propongo dunque un approccio alternativo alla questione “panetùn”: guardatevi questo video di Paperissima del 1998 in cui Fabrizio Frizzi cerca di promuovere il panettone Maina e ditemi se il vostro preferito non è già quello alla glassa di mandarla malandra stronza.