Rock in Idrho 2011: cronaca di una morte annunciata

La prima volta che lessi la scaletta del Rock in Idrho di quest’anno pensavo stessero scherzando. Una line up pazzesca, da mandare in bancarotta qualunque agenzia di eventi. In effetti i costi di panini patatine e bibite all’interno dell’arena mi ha fatto capire subito in che modo avessero preventivato di coprire le spese, ma va detto in loro difesa che 50 euro di biglietto per un evento simile è una cifra risibile, quindi pace fatta e via con lo spettacolo.

Giovani amanti della musica si dissetano in attesa dell'evento

Dopo un viaggio più veloce del previsto (la vodka rischiava di scaldarsi, e il pilota non ha badato ad autovelox) siamo arrivati alla fiera di Rho. Grande delusione perchè speravo finalmente di vedere quella meraviglia di architettura lecorbusiana che è l’idroscalo. Pazienza, le zanzare non mancavano comunque neanche lì. Non abbiamo purtroppo fatto in tempo a vedere i giovani vincitori del contest del festival, tali Outback. Tanti complimenti comunque per essere apparsi a queste latitudini. Mentre percorrevamo i 25 chilometri che separano il parcheggio dall’arena, i Ministri hanno fatto in tempo a salire sul palco, suonare nell’indifferenza (quasi) generale, e tornare nel backstage. Peccato, perchè rimangono a mia detta una delle band più interessanti e meno finocchie del panorama rock nostrano. Ad ogni modo, chi ha affrontato il sole battente (circa 25 gradi all’ombra) per sentirli pare sia rimasto soddisfatto. Good job, un domani sicuramente saliranno di livello nelle scalette di questi festival.

La prima impressione che quest’arena ci ha regalato è stata comunque positiva; improvvisata tra i casermoni della fiera, riusciva a non essere grigia e anonima, grazie anche agli immancabili stand di multinazionali che ne coloravano il perimetro. Ragazzetti con le t-shirt dei gruppi che avrebbero suonato non mancavano, come da regola, e neanche gli esaltati con la maglietta ufficiale del festival. Tipo se-mi-sveglio-ubriaco-in-un fosso-so-dove-sono-stato-fino-a-poco-prima.

Il live dei Flogging Molly è stato onestissimo: celtic punk vecchia maniera, con un’anima irish folk intrisa di punk rock ammeregano, e una crew sul palco di decine di musicisti con violini, fisarmoniche e compagnia bella. Chi li conosce bene ha commentato entusiasticamente la performance, e anche chi come me stava rosolandosi al sole con una pinta ghiacciata se li è goduti benebene. Buonumore diffuso tra i già quasi 15 mila presenti nell’arena (a fine serata la cifra si è attestata sui 30mila spettatori), e ottimismo dilagante che ha portato anche i detrattori dei Band of Horses ad andare sotto il palco per il live successivo. Pessima scelta. La band di Seattle ha esordito con una scaletta zeppa di singoloni da virgin radio, nessuna passione espressa, e una durata di live scandalosamente breve. Sarà che mi stanno un pò sulle palle questi gruppi indie intercambiabili tra di loro, ma è innegabile che durante il live la folla si assotiliava sempre di più, andando a colmare le file ai 3 stand di birra già ampiamente popolate. Brutto colpo per i giovani hipster occhialuti accorsi a Rho, anche perchè da lì in poi si è smesso di scherzare, e il sound si è fatto sempre più tirato.

Poco dopo infatti (i cambi palco sono stati per tutti i gruppi rapidissimi, con sound check già digitalizzati nel mixer e attesa minima tra un gruppo e l’altro. bravissimi) sono saliti gli Hives. Dio benedica questi ragazzoni svedesi accorsi in bombetta e frac fin sotto le Alpi. Anticipati sul palco da un team di roadie ninja (!!!) che ha provato gli strumenti e ha passeggiato a scatti per tutta la durata del live suonando cembalini, gli Hives hanno dato una lezione durissima a chi li ha infilati a metà pomeriggio, in un festival dove potevano tranquillamente campeggiare nel podio delle star. Qualche parola italiana per imbonirsi la folla, e Pelle Almqvist ha dato il via ad uno dei live più potenti che io ricordi. Giusto mix tra classiconi e ultimi pezzi (di cui un inedito che pare uscirà nell’album previsto per il 2012), peccato per le sorelline di 15 e 13 anni che, infilatesi sotto il palco per guardare bene quei figaccioni del nord, urlavano terrorizzate ad ogni accenno di pogo/ballo di gruppo. Cara mamma milanese, se vuoi forgiare giovane rockettare non portare le tue creature sotto il palco di una band simile, a meno che tu non voglia crescere degli hamburger con vaghe fattezze umane per gli anni a venire. Thumbs up però per il loro amichetto di pochi anni di più che cercava di difenderle abbracciandole, con l’unico risultato di crollarle addosso in lacrime e farle ancora più male. Scene grottesche a parte, citazione particolare per la versione ultradilatata di Tick Tick Boom con tanto di freezing  (tutti quanti immobili per un minuto buono) che ha fatto tacere anche i detrattori che li accusano di non avere una forte personalità nei live.

Soddisfatto dal concerto che più di tutti aspettavo, ho deciso di asciugare il sudore (mio e dei numerosi energumeni a petto nudo che mi hanno sballottolato per un’ora strusciandomi le loro ascelle mefitiche in ogni luogo e in ogni lago) pigliandomi un panino e una birra. “Tanto per il live dei Social Distortion mancano almeno una ventina di minuti, e il tempo c’è tutto” pensavo io ebbro, ottimista e stronzo. In quasi un’ora ero riuscito ad accaparrarmi solo il panino, per la birra ho dovuto delegare ad altri il compito, mentre il live dei Social Distortion già da tempo faceva vibrare in quattro quarti il suolo rovente dell’arena. Aperto con Bad Luck, il loro è stato un live senza troppi fronzoli, a mio giudizio un pò lento, ma comunque eccitante per i numerosissimi giovani accorsi con la maglietta del teschietto con martini e paglia. Zio Mike non ha più vent’anni, si vede da come si è conciato per salire sul palco, ma l’anima di chi contribuisce a fondare un genere come il punk rock non invecchia mai. Punta di diamante la cover di Ring of Fire di Johnny Cash, evergreen dei loro live, suonata con un’enfasi punk accaldatissima e molto applaudita dai fan.

Finito il lauto pasto, siamo andati fin sotto il palco per vedere Iggy (o, come scoprimmmo più tardi, ciò che rimaneva di lui) sgambettare sul palco. Degli Stooges è rimasto ben poco, e anche ciò che è rimasto non se la cava benissimo. I pezzi suonano sempre bene (chi è venuto per sentire Luoie Louie o The Passenger è rimasto deluso, dato che non vengono quasi mai riproposte live) e la versione più rock di I Wanna Be Your Dog ha riportato un pò tutti quanti a vent’anni fa, quando Iggy era l’icona delle generazione Trainspotting e il suo petto nudo celava ancora in parte gli anni di stravizi. Ora di quell’Iggy è rimasto poco, a tratti faceva quasi tenerezza, mentre si metteva in posizione punto interrogativo o da odalisca strafatta. Un bacio a distanza alla ragazza  di fronte a me con cappello di paglia e tattoo di un fiore appassito, che per fotografare il megaschermo (nemmeno il palco) dove si dimenava il suo presunto idolo, ha cancellato una ad una le foto delle vacanze al mare con i suoi figli. Verso la fine il nostro amato iguana ha fatto salire sul palco un pò tutti quanti, compresi esagitati che gli hanno baciato i capezzoli al vento, e il tutto si è concluso con un sapore agrodolce. Un pò perchè il suo fisico non regge più benissimo, un pò perchè in effetti perpetuare la macchietta del bad boy da zoo di berlino ad una certa età può metterti in situazioni di imbarazzo. Rimane indubbio il fatto che io baldo trentenne un pò sovrappeso sputo sentenze via blog, mentre lui a 60 anni suonati intratteneva mezzo nudo 30mila persone in estasi. La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza, profetizzava sotto oppio il buon Blake, e forse non aveva tutti i torti.

Infine, i Foo Fighters. La scaletta del concerto era già stata pubblicata sul sito del gruppo, dove ormai pubblicherano anche i frame di Dave Grohl che pulisce il culo della figlioletta o le registrazioni della gara di rutti vinta da Pat Smear nel pullman del tour. Comunque è stato emozionante sentire grandi classici come Best of You, Learn to Fly o My Hero cantati in coro da tutta l’arena, e il gruppo ha dimostrato di essere ormai una band da stadio ben rodata. A riprova, la cover di Tie Your Mother Down dei Queen, band da stadio per eccellenza, presentata con una potenza impressionante. Il buon Dave ha raccontato di quando, 18enne, veniva a suonare al Leoncavallo, e ha intrattenuto con genuina simpatia tutto il pubblico, dando l’impressione di divertirsi sul serio. Passerella per il batterista cantante Hawkins e il figliol prodigo Pat Smear (il chitarrista che per assurdo può dire di aver suonato nei gruppi più importanti della storia, vedi Fighters, Germs, Adolescents e Nirvana, senza però mai lasciare un vero segno). Chiusura dopo quasi due ore con Everlong, e applausi commossi dei presenti. Sipario giù.

L’orda di rockettari si è riversata ai cancelli in massa, regalando gli ultimi brividi della giornata a chi di loro aveva visto le immagini dell’Heysel. Parcheggio, biglietto, coda,  tangenziale, autostrada, panino in autogrill, cesso in autogrill, furtarelli in autogrill, pennichelle lungo la strada e alba che comincia a fare capolino. Alle 5 passate siamo a casa. Io mi accorgo di aver lasciato delle cose all’Arena e sto per guardare tenero Andrea che guida per chiedergli di tornare indietro a prenderle. Desisto dopo la prima occhiata. Siamo davvero morti, meritato riposo sia. Che tra pochi giorni ci sono Motorhead e Iron Maiden ad Imola..

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